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Pranzo solidale con Lezioni al campo per sostenere il centro educativo di Mafraq

CSV Monza Lecco Sondrio2018-03-29T00:00:00+02:00
Pubblicato il
29/03/2018
Di CSV Monza Lecco Sondrio
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Pranzo solidale con Lezioni al campo per sostenere il centro educativo di Mafraq

Sabato 14 aprile 2018, alle ore 12,30 presso il ristorante Il Barcaiolo, piazza Era 2 a Lecco, l’associazione Lezioni al campo e e l’ONG Vento di terra organizzano un pranzo solidale, video e musica etnica dal vivo, per una raccolta fondi. Una parte della quota raccolta sarà destinata al centro educativo di Mafraq nel nord della Giordania, che offre sostegno scolastico e psicologico a bambini siriani profughi e una parte sarà devoluta per le attività di Lezioni al Campo, a sostegno dei richiedenti asilo, residenti nel nostro territorio.

Prenotazioni entro il 9 aprile.

Scarica la locandina per maggiori informazioni

Di seguito un racconto della visita fatta in Giordania ai campi profughi e ai centri dell’Ong Vento di Terra.

VIAGGIO IN GIORDANIA, TRA PROFUGHI SIRIANI E CAMPI PROFUGHI

Il mese di agosto 2017 con un viaggio di turismo responsabile, guidato dalla ONG Vento di Terra, sono stata in Giordania. Ho visto Petra, scolpita nella roccia e la bella Gerasa, ho visto tramontare il sole e la notte stellata con la via lattea nel deserto con i beduini, ma ho avuto anche la possibilità di conoscere la realtà dei profughi siriani e alcune esperienze interessanti, che però purtroppo sono gocce nel mare…

I profughi in Giordania: mi sono stati dati numeri molto diversi, anche perché non penso ci sia un censimento particolare. Don Mario, un prete toscano, vent’anni tra Palestina e Giordania: 9 milioni di abitanti, 3 milioni di profughi: palestinesi, iracheni, siriani.

Nella sua parrocchia ha creato un bel laboratorio di sartoria con due maestre sarte italiane per donne irachene, in realtà ragazze, perché agli iracheni non è concesso il diritto al lavoro. Fanno capi che mescolano l’oriente con l’occidente: tessuti in parte palestinesi e fogge occidentali: verranno poi venduti in Italia tra parrocchie e amici.

“Qui abbiamo imparato a vivere anche senza speranza, perché non c’è speranza…” così ci ha detto.

I profughi siriani sono 800.000; al nord, vicino al confine con la Siria, nella città di Mafraq (circa 350.000abitanti) sono 180.000.

Una parte, un po’ meno della metà in grandi campi dell’ONU, il resto in campi informali autogestiti.

Mi è stato spiegato che quelli ufficiali dell’ONU sono rifiutati dai più perché sono blindati come un carcere e circondati da filo elettrificato: non c’ è possibilità d’uscire se non con un permesso di lavoro e c’è un tasso altissimo di violenza verso donne e bambini, tanto che i genitori obbligano le figlie a sposarsi adolescenti, seguendo il principio che sia meglio subire violenza da un solo uomo piuttosto che da molti…

La logica seguita dall’ONU è quella di non pesare ulteriormente sulla Giordania, visto l’alto numero di profughi.

Ci sono poi quelli informali: ne abbiamo visitato tre. Sono due o tre clan familiari, a capo dei quali sta un anziano o comunque un uomo riconosciuto autorevole, che si uniscono e vivono in tende su una distesa terrosa e sabbiosa, senza acqua che viene acquistata, riproducendo la struttura del villaggio, perché queste persone sono tutte fuggite dal mondo contadino in seguito a bombardamenti, anche chimici, e uccisione degli uomini.

Sono generalmente su un terreno che appartiene a un proprietario, che dà la corrente elettrica, per cui lavorano nella raccolta degli ortaggi con un salario basso, che crea inevitabili tensioni con i lavoratori locali.

La classe colta era partita per prima verso la Germania.

Il primo campo è stato un colpo: tende rabberciate in qualche modo con coperte, stracci e altro materiale di recupero con gruppi di bambini bellissimi, a piedi scalzi, spesso laceri e inevitabilmente sporchi. Ci siamo arrivato con un pagliaccio, un giordano un po’ pazzo e un po’ rude, ex commerciante con la Siria, che ha la forza di girare tutti i campi profughi e di riferire a Vento di Terra i bisogni più urgenti.

Allo scoppio della guerra ha poi creato un gruppo per raccogliere fondi, perché i profughi più gravi possano accedere all’ospedale: è quello italiano perché accetta un pagamento ridotto.

Quello successivo era formato prevalentemente da donne vedove con bambini.

Il terzo era meno spaventoso: le tende erano quelle beduine, che i profughi usavano nei loro villaggi quando andavano a lavorare in campagna, e il responsabile un uomo di mezza età, intelligente e con un grado di istruzione superiore a tutti gli altri. Qui raccoglievano pomodori; alla fine del raccolto, siccome sono dotati di cellulare e si tengono in contatto con gli altri campi, si spostano là dove hanno notizia di un’altra possibilità di lavoro.

Vento di Terra ha creato due centri, che accolgono per mezza giornata i bambini, che vengono portati dai campi con un pulmino: circa 150 in uno, circa 100 nell’altro. Si fa scuola, in uno con personale siriano, nell’altro con giordani. Scelta necessaria e fondamentale, perché non sempre la scuola giordana li accoglie e, quando avviene, è nel pomeriggio separati dai bambini siriani che vanno la mattina. E si dà una merenda sostanziosa: altra scelta necessaria.

Inoltre ci sono bambini che hanno perso due, tre anni di scuola e, ben che vada, il livello dell’istruzione in Giordania è molto basso.

Ci lavorano anche alcune psicologhe che si prendono cura dei bambini e vanno nelle tende a parlare con i familiari: a volte la mamma a volte la nonna. In un caso per convincere una vecchia nonna ammalata a lasciare venire la nipotina, le hanno detto che poteva portare anche il fratellino di due anni, che sta sempre aggrappato con una manina alla maglietta della sorellina.

Mi ha colpito soprattutto il centro, gestito con personale siriano (finanziato nel 2017 con l’8/1000 dalla chiesa valdese): l’amore, l’attenzione, la cura e la passione verso i bambini mi hanno commosso.

Il problema ora è recuperare il denaro per sostenere il centro quest’anno.

A tutto ciò vanno aggiunti 60.000 siriani, che sopravvivono nella terra di nessuno, tra il confine giordano e quello siriano, senza neppure le tende, anche se d’inverno nevica, controllati a vista dai carri armati giordani.

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